La suggestione che conservano ancora le numerose corti presenti nel centro storico di Gorgonzola non deve far dimenticare le precarie condizioni in cui vivevano i contadini fino agli anni Cinquanta del secolo scorso. Le piccole case erano di proprietà del massaro, che non investiva le proprie rendite per migliorare le abitazioni date in affitto ai contadini, sovraffollate e prive di acqua corrente e luce elettrica. Carbonchio, tifo, tisi, vaiolo, artriti, rachitismo e pellagra erano malattie endemiche. I film L'albero degli zoccoli di Ermanno Olmi e Novecento di Bertolucci illustrano bene la durissima vita dei contadini, alla mercè del fittavolo più o meno tirannico o paternalista.
Anche dopo l’Unità d’Italia le proprietà agrarie delle zone irrigue a sud del Naviglio erano costituite da fondi di ampie dimensioni (almeno 50 ettari), di proprietà di nobili famiglie e da grandi enti di beneficenza, residenti a Milano. Il fondo era condotto da un fittavolo, che spesso risiedeva in cascina, dove abitavano le famiglie dei contadini annuali e stagionalmente i bergamini, un'aristocrazia a parte, proprietari delle mandrie da latte che dai monti venivano a svernare in pianura.
Nelle corti del borgo abitavano invece i contadini salariati fissi, con diritto di tenere 2 o 3 animali, pollame e conigli e gli artigiani (carradori, falegnami, bottai, maniscalchi), sempre funzionali all’'attività agricola. I dipendenti fissi avevano diritto al casotto, dove tenevano l'orto, un pergolato a vigna , un paio di alberi da frutto per il sostentamento familiare.
Il ricco proprietario terriero assegnava al massaro un preciso lotto di terra, con contratto anche trentennale, rinnovabile ed ereditario, mentre fino agli inizi del Novecento il contratto di lavoro per i contadini delle cascine era individuale, sancito da una stretta di mano tra i contraenti, della durata di un anno (si stipulava l’11 novembre, a san Martino), senza limiti di orario e cassa malattia (per questo nascono le società di mutuo soccorso), coinvolgendo tutta la famiglia del salariato, bambini compresi. A san Martino si tiravano le somme, compreso l’affitto della casa. La disdetta era la terribile arma in mano al fittavolo, che poteva sempre contare sull’abbondanza di manodopera. Anche l contadino dava disdetta, nella speranza di trovare in un’altra cascina un fittavolo meno tirannico. La morte del capofamiglia comportava l’allontanamento di tutto il nucleo familiare da corti e cascine.
All’inizio del XX secolo la retribuzione annua era di 200 lire all’anno, più quella in natura (mais, legna) e quella data del perticato, un appezzamento di terra arato e concimato dall’affittuario e seminato e curato dalla famiglia assegnataria, il cui ricavato veniva diviso al “quarto o al terzo o al quinto” a seconda delle annate e delle lotte contrattuali.
Ovunque si allevano i bigatti, per cui spesso nelle corti si trovano i gelsi. Contadini nelle corti e contadini delle cascine (cassinat) appartenevano a due ceti sociali diversi; la principale differenza percepita è che i primi erano stanziali, i secondi seminomadi.
Ancora nel Secondo dopoguerra i cassinat sono spregiati dai contadini, sempre meno numerosi, residenti in paese: vengono percepiti come estranei, di recente iscrizione all'anagrafe comunale, gente che non ha ancora l'acqua e la luce.
La situazione muta totalmente a partire dagli anni Cinquanta, con la legge Bonomi, che sancisce la fine del latifondo e il diritto di prelazione da parte dei contadini, con rateazioni miti e prolungate. Si forma così la classe dei piccoli coltivatori diretti, che costituirà la base elettorale della Democrazia Cristiana.
A Gorgonzola Camillo Ripamonti viene eletto sindaco dal 1946 al 1980, contemporaneamente alla sua elezione al Parlamento dal 1958, dove ricopre più volte la carica di ministro (alla Sanità, Ricerca scientifica, Commercio estero, Beni culturali, Turismo e spettacolo).
Fonte: Gianfranco Petrillo, La fabbrica verde, Peschiera B. 2005.
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