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  • Immagine del redattoreCristina Ricci

Le conferenze di Concordiola


    CROTIUS  (GROTTO) DA  GORGONZOLA,

UN MAGISTRATO MILANESE  AI TEMPI DEL BARBAROSSA (terzo quarto del sec. XII)

 

 Il seguente testo è la rielaborazione di quanto esposto verbalmente nella conferenza  tenuta dall'autore il 15 maggio 2024 presso la Biblioteca civica di Gorgonzola, scevro dalle divagazioni che inevitabilmente occorrono in un'esposizione di carattere discorsivo.

 

La memoria collettiva, per lo più di origine scolastica, ha conservato negli italiani e maggiormente nei lombardi e milanesi, l'aspetto epico delle lotte intraprese dai Comuni dell'Italia settentrionale contro la presenza oppressiva dell'imperatore tedesco Federico I di Svevia, detto il Barbarossa. E' una memoria che si è andata costruendo nei secoli a partire dal tardo Medioevo e che - rispondendo a mutevoli esigenze ideologiche - ha costruito dapprima (secc. XIV) la giustificazione dell'egemonia milanese sul Nord Italia, poi gli albori di un sentimento nazionale e infine ha nutrito lo spirito del Risorgimento in chiave antitedesca e il neo-guelfismo, sino a informare i partiti del CLN durante la Resistenza, in primo luogo la Democrazia Cristiana, partito che farà del gonfalone lombardo con il motto Libertas la propria insegna.

Come avvertito da Paolo Chiesa,[1] poche parole come “libertà” hanno avuto una declinazione tanto diversa nel corso dei secoli. Nel caso delle rivendicazioni comunali nei confronti dell'impero, la libertas invocata nel XII secolo significava il riconoscimento delle concessioni che da circa cent'anni i Comuni - quali più e quali meno - avevano ottenuto come ratifica da parte del sovrano di prerogative che restavano regie, ma venivano esercitate dal potere locale: battere moneta, tenere mercato, riscuotere dazi e censi, stabilire confini, associarsi a vario titolo all'interno del Comune e fra comuni; ma più di tutto un “abuso” quasi eversivo: eleggere il proprio governo. Fu per regolare l'intricato complesso giuridico che si era formato nel corso del tempo (grosso modo dal conflitto fra papato e impero circa l'investitura dei vescovi, primi magistrati dei nascenti comuni nl X secolo) e per sanzionarne gli abusi (l'autogoverno) e le prevaricazioni dei comuni più potenti sui più deboli (Milano aveva distrutto Lodi!) che Federico venne in Italia nel 1154. Nonché per aiutare il papa in carica, che lo avrebbe poi incoronato, a recuperare il controllo su Roma esercitato dal Comune popolare (= “eretico”) di Arnaldo da Brescia.

 Riassumiamo ora in estrema sintesi i fatti che anticipano l'entrata in scena del personaggio storico che è l'argomento di questo articolo.

Federico, dopo aver sterminato gli arnaldisti in Roma, risale l'Italia mettendo a ferro e fuoco città e castelli; nel 1158, con la seconda dieta di Roncaglia, decreta la riassunzione di tutte le prerogative regie concesse dai suoi predecessori ai comuni; Milano rifiuta la legittimità del decreto imperiale; Federico impone alle città circonvicine a Milano e ai suoi contadi la distruzione della città ribelle nella primavera del 1162; abolito il governo consolare, l'arcivescovo è esule, i milanesi sfollano nel contado, in particolare i cittadini che ne provenivano tornano ai villaggi e ai borghi dove possiedono case e terre; vengono imposti governatori tedeschi avidi e vessatori, adiuvati da cittadini filo-imperiali[2]; i contadi di Martesana, Bazzana e la Bergamasca sono sottoposti a Marcovaldo di Grumbach che tiranneggia dal castello di Trezzo, controllando il valichi dell'Adda.

Per quattro anni Milano, priva del suo vescovo e delle mura, è deserta e rischia di uscire dalla storia. Ma a Roma il nuovo papa Alessandro - al quale l'imperatore ha contrapposto un papa a lui fedele - riorganizza la Chiesa col sostegno del basileus di Costantinopoli e del re normanno di Napoli e Sicilia; il prelato milanese Galdino della Sala[3], inviato a Milano come legato pontificio nel 1166, è accettato come  arcivescovo. Galdino è il motore istituzionale che riavvia la ricostruzione di Milano; grazie a lui nel 1167 le città di Bergamo, Brescia, Cremona e Lodi si uniscono in lega allo scopo di restaurare Milano, consapevoli che la soggezione ai governatori tedeschi è perfino più gravosa della “superbia” milanese. L'alleanza - giova notare ai fini dei questa narrazione - è “imperniata sull'asse strategico dell'Adda” (Paolo Grillo) e di conseguenza sulla principale arteria stradale che porta a Milano: la via che passa da Gorgonzola, la più importante sede pievana a oriente della città. Il 5 settembre 1167 l'arcivescovo Galdino benedice l'avviata ricostruzione della metropoli, iniziando dalla domus archiepiscopi, a tutti gli effetti la centrale del potere politico di Milano. L'anno successivo Federico, nell'ostilità delle popolazioni e del clero fedele a papa Alessandro, abbandona Pavia e torna in Germania.

 

E' giunta qui l'ora di attingere alla sparuta documentazione che si è salvata dall'incendio del Broletto Vecchio, dove entra finalmente in scena il protagonista di questa memoria[4]:  gli indici lo registrano come “Grotto da Gorgonzola”, ma, come vedremo, sarebbe forse più corretto ricordarlo come                                                                                                                                               Ambrogio Crotti da Gorgonzola.

  

Chi era costui? Negletto dalla storiografia, obnubilato - come molti altri attori della storia milanese - da personaggi di fantasia come 'Alberto da Giussano', trascurato da una lettura mitologica di un epos non poi così glorioso come tramandarono i patrioti nel raccontare le lotte contro il Barbarossa. Ma pur sempre protagonista di un' immane impresa che cambiò la storia d' Italia: la rinascita di Milano, città condannata diversamente a scomparire. Chi era costui, dunque, totalmente ignoto ai gorgonzolesi? Le notizie frammentarie estratte dai documenti sono esplicite nel descrivere l'attività di un cittadino milanese (quindi con beni immobili e obbligo di residenza per almeno 4 mesi all'anno in città) con una solida formazione giuridica, che godeva di stima pubblica, che fu al vertice del governo di Milano nel collegio consolare e quindi operò come judex e giureconsulto. Altre notizie sulla sua vita possono essere solo ipotizzate se non addirittura congetturate: ipotesi e congetture comunque fondate.

Fatto sta che il nome di Clottus de Glogonzola si conserva per la prima volta in un documento di fondamentale importanza per la storia di Milano nell'Età dei Comuni. Si tratta del giuramento costitutivo della prima Lega Lombarda alla quale si è accennato sopra. L'atto, redatto in Lodi il 22 Maggio 1167[5], vede quali testi e giurati  quamplures consules soprascriptarum civitatum (ovvero: per la maggior parte consoli delle città aderenti alla Lega). Il Nostro appare dunque da subito al vertice del governo cittadino che si va ricostituendo sotto “il pastorale e la spada” (Perelli Cippo) branditi dal neo-arcivescovo Galdino; e - aggiungo io - la penna della sapienza giuridica e della prudenza diplomatica. Il nome di Crotto da Gorgonzola si affianca nel documento a Guido Confalonieri, Anselmo da Mandello, Alberto da Carate, Guidotto Polenzonus e infine Beltrame Scaccabarozzi[6], della famiglia filo-imperiale saggiamente associato ai congiurati milanesi.

Nello stesso anno il Nostro appare in esplicita dignità consolare in un altro documento[7] di “politica internazionale”, ovvero l'alleanza che Milano estende a Novara nella persona del vescovo di quella città allora nei dominii del conte di Biandrate, fedele costola imperiale insieme al marchese di Monferrato. Nel patto sancito col vescovo, Novara entrò di fatto nell'area d'influenza di Milano, la cui arcidiocesi già si estendeva ad alcune  pievi sulla sponda occidentale del Verbano. Ma più ancora  Milano si garantiva il controllo dei valichi verso Sion e l'Alto Ticino: Bellinzona infatti era stata sottratta alla diocesi ambrosiana dagli imperatori franconi (ca. 1003) e sottoposta a Como, filoimperiale. Ordunque il 28 dicembre 1167 in domo archiepiscopi ...consules qui iuraverunt sunt Girardus Cagapisto[8], Mainfredus, Crotto de Grogonzola  e altri sei. Si noti che l'importante documento - che impegnava i Milanesi nel tutelare beni e diritti del vescovo di Novara, ovviamente timoroso della reazione dei feudatari di Biandrate - venne redatto e stipulato nell'episcopio. Questo non tanto perchè riguardasse un prelato di una diocesi confinante, ma perchè in assenza di un  palazzo comunale la sede istituzionale più prestigiosa era la dimora dell'arcivescovo, dimora per altro in fase di riedificazione: l'arcivescovado, sul sedime dove tuttora sorge, verrà infatti inaugurato nell'agosto del 1168.

L'anno 1167 si concluse con l'assemblea cittadina, convocata probabilmente fra le macerie della cattedrale hiemalis (invernale) di Santa Maria Maggiore; il giorno seguente pridie Kalendas Januarii, in publica contione (…) populo laudante et confirmante ac sepissime clamante “sia, sia” rogaverunt soprascriptus populus totus et consules Mediolani.[9]  Dieci furono i magistrati eletti e/o confermati alla carica consolare e fra questi appunto Clottus de Grogunzola.

I consoli di norma restavano in carica un anno, ma il passaggio fra il 1167 e il'68 cadeva in una congiuntura troppo delicata...; dunque, in proposito, citiamo testualmente quanto scrisse Cesare Manaresi nell'”Introduzione”[10] alla sua pubblicazione del 1919:

“ Il consolato invece che fu eletto per l'anno 1167 durò in carica anche l'anno seguente, forse perchè era necessario che il governo della città continuasse eccezionalmente per un altro anno sotto quelli che maggiormente avevano contribuito a farla risorgere”.

E il Nostro fu decisamente fra quelli!   

 Se abbiamo ipotizzato con buona certezza che il protagonista di questo articolo avesse alle spalle una carriera di giudice e magistrato, con le esperienze e la dottrina che ciò comportava, tanto da trovarlo al vertice del governo milanese in anni cruciali per l'esistenza stessa della città, non stupisca ora ritrovarlo in atti di rango relativamente minore. La “democrazia” del comune consolare esigeva, ribadiamo, una rotazione degli incarichi e una valutazione in publica contione dell'operato dei magistrati.

Come si è detto, nel marzo del 1168, al disgelo, il Barbarossa era riparato nelle sua Svevia, portando con sé i governatori tedeschi imposti alle città della Padania. La fortezza di Trezzo sull'Adda, dalla quale Marcovaldo aveva spadroneggiato sui territori di qua e di là dal fiume, era già stata espugnata nell' agosto precedente dalle milizie congiunte  milanesi (dunque durante il consolato di Crotto da Gorgonzola) e bergamasche, col recupero di un ingente bottino. Restava da definire la posizione dei Contadi della Martesana e del Seprio i cui incerti confini erano insidiati da Como, ancora fedele all'Impero. I mutati rapporti di forza portarono ad una pax (cioè un patto, più che una pace) fra Como e Milano, affidata alle capacità diplomatiche di sei arbitri, tre per parte. La pax, o arbitrato che dir si voglia, definì il possesso di Mandello, Lierna, Limonta, Civenna e Lomazzo (quest'ultima salomonicamente divisa in due) a vantaggio di Como. Milano però conseguiva un obiettivo strategicamente ben più importante: distaccare Como e il suo territorio dalla fedeltà imperiale e quindi la sicurezza sui transiti alpini dello Spluga e del Maloja. L'atto venne ratificato a Seveso il 3 settembre del 1170.[11]  Vi leggiamo che “ ex parte comunis Mediolani fuerunt electi arbitri Otto Vicecomes[12] et Crottus de Grogenzola et Malconventus Cotta”.  E in calce alla ratifica nuovamente leggiamo che:

Hoc totum quod ad eorum officium pertinet, iuraverunt attendere bona fide,sine fraude, Guido de Brienno, Ogerius iudex, Aliprandus Maleadobatus, Otto Vicecomes, Malconventus Cotta et Croitus de Grogonzola”.

Pochi giorni dopo, troviamo una nuova diversa attestazione del nome del Nostro.

Il 20 settembre 1170[13]  in civitate Mediolani, in ecclesie Sancte Tecle, in publica contione si stabiliscono le norme nei rapporti fra proprietari terrieri e coloni (alla moderna diremmo i “Patti colonici”), ma soprattutto si ristabiliscono confini, diritti, concessioni ecc. in vigore precedentemente agli sconvolgimenti bellici.[14] A darne pubblica lettura davanti all'assemblea cittadina - dato che gran parte dei Milanesi risultava possidente di fondi nel contado - agiscono congiuntamente i “ consoli del comune” e i “consoli di giustizia” per un totale di dodici magistrati; e dunque “Consules iusticie fuerunt (…) Crotto de Grogonzola”.

Il nostro personaggio, da statuto non rieletto console del Comune, appare qui nella veste di una magistratura non di minor rango - il “consolato di giustizia”- e probabilmente riservata agli aspetti giuridici, all'esercizio del diritto. Per ricoprire tale  carica è ragionevole pensare fossero eletti cittadini di sicura competenza in materia. Scrive in proposito il Manaresi[15]:

“ La nessuna diversità che esisteva in principio riguardo al grado di dignità fra consoli del comune e consoli di giustizia si rileva anche nel fatto che i consoli di giustizia continuano a chiamarsi consules Mediolani, mentre la denominazione di consules justitie non ricorre che rarissime volte e per lo più in contrapposizione a consules communis ; essa poi spiega come sia stato possibile che persone, le quali già avevano coperto la carica di console del comune, qualche volta in anni posteriori fungessero da consoli di giustizia”.

Come si legge, l'osservazione del grande diplomatista italiano è perfettamente attinente alla figura di Crotto da Gorgonzola.  Nei successivi tre documenti, il Nostro agisce sempre come giurisperito. In tempi moderni parrebbero atti che richiedono un semplice arbitrato o un tribunale civile. Perchè mai - ci si può chiedere - sono rivestiti di importanza pubblica e vedono fra gli attori l'autorità politica? Perchè il Comune di Milano, nel delicatissimo settennato della “ricostruzione” politica, militare, materiale e economica, non poteva permettersi di avere conflitti interni fra potentati locali, come lo erano i grandi enti monastici, le famiglie eminenti e le consorterie popolari.

Il 16 ottobre 1170[16] in consulatu Mediolani viene emessa una sentenza in merito a una lite fra la famiglia Pozzobonelli e l'abbazia di Chiaravalle. Essa è così emanata:

Sententiam protulit Mainfredus Vicecomes consul Mediolani, et cum eo Tosabosos qui dicitur Bossius et Arderico Cassina; et Crotto iudex qui dicitur de Grogonzola et Broccus qui dicitur iudex socio eius”.

Il 19 ottobre 1171[17], nel nuovo palazzo consolare viene ordinata la confisca di un prato in risarcimento di un debito non pagato. Alla lettura della sentenza, emessa intus Broiretum consulum dai consoli di giustizia Arialdo Visconti e Gregorio Cacainarca, partecipa probabilmente come perito Ambroxius iudex de Grogonzola.

Infine il 22 febbraio 1172[18] in una sentenza “politicamente delicata”[19] circa una lite fra il Monastero di Sant'Ambrogio di Milano e suoi massari, incontriamo fra i sottoscrittori - che attestavano la correttezza formale del testo[20]- la prima e ultima firma autografa del Nostro, che si firma semplicemente: Ego Crottus subscripsi.

                                                    

 Se l'analisi storica dei documenti citati è abbastanza semplice, maggiori problemi presenta l'analisi onomastica, con tutte le oscillazioni tipiche del volgare in formazione[21]; essa è tuttavia necessaria per poter ipotizzare con qualche fondamento che il personaggio trattato sia di Gorgonzola, e non semplicemente il portatore di un “cognome” toponimico come quello di tanti cives nella Milano d'Età comunale. In generale la formazione di un cognome toponimico è plausibile per il membro di una famiglia che si sia spostato dal luogo di nascita, mentre altri congiunti, figli dello stesso padre, assumono un cognome patronimico o ergonimico o un semplice soprannome.

Detto questo, se è ovvio che nella grande città gli oriundi del contado si distinguessero per il nome del villaggio di provenienza, trasmettendolo ai figli in mancanza di altro denotativo; nel caso del Nostro possiamo affermare con relativa certezza che fosse membro di una vasta famiglia dotata di un preciso cognome: quella dei Crotti[22]. E' questo cognome denotativo che più volte ricorre nei documenti, spesso accompagnato dall'ulteriore denotazione della località di provenienza: Gorgonzola.

Particolarmente eloquente mi pare l'attestazione dell'ottobre del '70 dove è definito Crotto iudex qui dicitur de Grogonzola. Vi appare il cognome, la carica e la provenienza denotativa. Egli stesso, nel firmarsi si denota per cognome: Ego Crottus subscripsi. Ma vediamo che in documenti coevi l'attore o il partecipante si denota magari solo col nome proprio, e in tal caso il de Grogonzola (nelle numerose varianti ortografiche...)  allora sarebbe un cognome, e “Crotto” un nome. Ma il documento dell'ottobre '71 ci toglie dall'incertezza: il “giudice da Gorgonzola”[23] che è convocato come perito è chiamato per nome: Ambrogio. Il più patriottico nome che un milanese potesse portare!

 Per concludere, possiamo ritenere con buona certezza che nella Milano del XII secolo, nel pieno delle lotte contro il Barbarossa e nella delicata fase della ricostruzione della Città, fosse presente e attivo in più magistrature un cittadino di nome Ambrogio, della stirpe dei Crotti e proveniente da Gorgonzola; o meglio gorgonzolese di nascita. 

Farne memoria a maggior gloria di Concordiola - il pagus e poi borgo e ora città che diede origine al personaggio - mi sembra azione lodevole.

  

Milano 17-21 Maggio 2024                                                 claudio m. tartari

 

 NOTE

[1]  Nella vasta bibliografia critica che riassume l'uso delle fonti storiche primarie della lotta fra Comuni e il Barbarossa segnalo tre testi ai quali ho fatto riferimento:  “Le cronache medievali di Milano” a c. di P. Chiesa, Vita e pensiero, Milano 2001; “Federico Barbarossa e i Lombardi. Comuni e imperatore nelle cronache contemporanee”  a c. di F. Cardini, G. Andenna, P. Ariatta, Europia, Novara 1991; “Legnano 1176. Una battaglia per la libertà” di Paolo Grillo,  Laterza, Roma-Bari 2012.

[2]Per Milano viene ricordato dalla storiografia un esponente di un'antica stirpe longobarda, tale Giordano Scaccabarozzi “perfido traditore”. La famiglia Scaccabarozzi porta come cognome una scurmègna - ovvero un soprannome vituperoso - che significa 'scarica birocci' cioè facchino o peggio ladro di strada. Altri esponenti della famiglia riabiliteranno il cognome partecipando lealmente alla ricostruzione della città e del suo ceto dirigente. Gli Scaccabarozzi saranno poi iscritti nell'albo del patriziato cittadino durante la signoria dei Visconti.

     Circa le scurmègne v. alla voce scumagna in Cortellazo e Marcato, a c. di, “I dialetti italiani: dizionario etimologico”, UTET, Torino 1991.

[3]Sulla figura di Galdino della Sala v. alla voce a c. di R. Perelli Cippo, in Dizionario Biografico degli Italiani. La carriera di Galdino fu prevalentemente giuridica e amministrativa, ricoprendo il ruolo di cancellarius della Chiesa ambrosiana fin dal IV decennio del XII secolo. Si può plausibilmente ipotizzare che il judex “de Grogonzola” di cui si tratta in questo articolo, come altri magistrati, si sia formato alla schola della cancelleria vescovile diretta da Galdino. Galdino è ricordato nella liturgia ambrosiana come santo e secondo patrono della città dopo Ambrogio.

[4]“Gli atti del Comune di Milano fino all'anno MCCXVI” a c. di Cesare Manaresi, Capriolo & Massimino, Milano 1919.   Il volume è consultabile in formato pdf nel sito della Biblioteca dell'Università degli Studi di Milano: collezioni.unimi.it  

[5] Manaresi  documento LIV

[6] Beltrame Scaccabarozzi, probabilmente giovane nel 1167, fu destinato ad una solida carriera al governo della città negli anni della riappacificazione con l'Impero che preludono al Comune podestarile; lo troviamo ancora attivo nel 1194.

[7] Manaresi doc. LVIII

[8]  Girardo Cagapisto, con i Dell'Orto e pochi altri, ebbe maggior memoria fra i consoli di Milano in età sveva, anche perchè fra i redattori della raccolta di leggi e consuetudini nota come “Libri feudorum”. L'opera è chiaramente frutto di una redazione collettiva dei magistrati dell'epoca, e nulla impedisce di pensare che anche  Ambrogio Crotti da Gorgonzola, giudice e console, vi abbia posto mano. V. di Maria Grazia Di Renzo “La formazione dei Libri feudorum tra pratica dei giudici e scienza dei dottori” in “Il feudalesimo nell'Alto Medioevo”, Spoleto 2000. Inoltre, circa la formazione giuridica dei magistrati comunali, v. Francesco Calasso “Medioevo del diritto”, Giuffrè, Milano 1964, in particolare il cap.VII 'Scuola e scienza del diritto'.

[9]“Il primo di gennaio, in pubblica assemblea, stando il popolo lodando e confermando e spessissimo gridando sia, sia ratificarono il popolo tutto e i consoli di Milano”  la nomina degli stessi.

[10]C. Manaresi, op.cit, p. XLV. Il corsivo della citazione è mio.

[11]Manaresi doc. LXXIV

[12]Da non confondere con Ottone Visconti, arcivescovo, protagonista cent'anni più tardi dell' ascesa della Famiglia alla Signoria di Milano. Otto Vicecomes, che compare più volte, con altri della stessa schiatta,  negli atti del periodo della lotta contro il Barbarossa, fu esponente del ceto capitaneale, i vassalli dell' arcivescovo, ceto in parte associato nel Comune “popolare” per quanto espressione dell'aristocrazia militare del contado.

[13]Manaresi  doc. LXXV

[14]Cfr. Antonio Piantani da “Cinque consignationes del 1239 relative a terre di proprietà della chiesa di S. Vittore di Varese” Studi di Storia medievale e di diplomatica. Università degli Studi di Milano 1976.  Dal documento del 20 settembre 1170 si evidenzia che fu emanato “...propter infortunium quod tam civibus Mediolani quam villanis accidit tempore guerre et tempore persecutionis Frederici imperatoris”.

[15]C. Manaresi, op.cit. p. LIV  L'importanza del patto si evince anche  dalla ratifica in pubblica assemblea presso la cattedrale estiva, cioè la scomparsa chiesa di Santa Tecla. Circa il prestigio delle sedi - comprese le chiese - presso le quali gli Atti venivano emanati, cfr. di Giancarlo Andenna “La simbologia del potere nelle città comunali lombarde: i palazzi pubblici”  Scuola Francese di Roma, 1994.

[16]Manaresi doc. LXXVI 

[17]Manaresi “Appendice I,  n.II ”

[18]Manaresi  doc. LXXX

[19]Il monastero ambrosiano era il luogo in cui l'imperatore e la corte soggiornavano in Milano esercitandovi il diritto di fodro; in cambio gli abati dell'epoca avevano titolo comitale fin dal IX secolo. Durante il conflitto col Barbarossa il monastero era dunque schierato con gli imperiali.

[20]La firma che precede quella del Nostro è di tale Girardo che si qualifica causidicus; il Nostro, forte della carriera antecedente, non ha bisogno di qualificarsi nel firmare.

[21]Circa l'effetto del rotacismo (scambio R/L) e del  'digamma' (scambio G/C) v. Gherard Rohlfs “Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti” Einaudi, Torino, 1966; in particolare pp.245 e segg. e p.454.  Le oscillazioni riguardano sia il nome proprio del personaggio che il nome di Gorgonzola.

[22]Cognome già attestato a Cremona nell' XI sec. (Bernardo Crotius iudex) e a Bergamo negli stessi anni in cui agisce il Nostro (Vuifredo e Guglielmo de Crottis consoli). Il ramo milanese si radica e ha un palazzo in città in Età moderna. L'etimologia del cognome ricondurrebbe al soprannome “crotus”, curvo, gobbo  forse di origine celtica.

[23]E' altamente improbabile che negli stessi anni, nelle stesse funzioni, agisse un altro diverso “giudice da Gorgonzola”.7

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