Fino a metà Ottocento, quando fu costruita la Ferrovia Ferdinandea che collegava Milano a Venezia, il traffico delle merci per approvvigionare la città lombarda passava quasi esclusivamente sulle acque del naviglio della Martesana. Mercanti e spedizionieri organizzavano viaggi notturni e diurni di barconi carichi di mercanzie, materiali da costruzione, prodotti alimentari, mobilitando al loro servizio uno stuolo di paroni (i padroni delle barche), barcaioli, facchini, carrettieri, cavallanti e alzaioli per la cura e la gestione di cavalli e muli necessari per il traino a ritroso dei barconi. Proprietari terrieri e fittavoli caricavano i loro raccolti per approfittare degli alti prezzi del mercato cittadino: dalla Martesana giungevano a Milano vino, aceto e mosto bollito, frumento, segale, miglio e avena, paglia, stoppie ed erbe, castagne, noci, mele e pere nostrane, formaggio, burro, mascarpone fresco e salato, pesce fresco e salato, carne. Grazie al naviglio, le spese di trasporto erano assai popolari: all’andata i barconi trasportavano materiali pesanti, al ritorno merce più leggera e meno ingombrante, come il sale e i manufatti della città, per facilitare il traino lungo la strada alzaia.
Dai barconi si vendevano al minuto fascine e legna da ardere, tra le accese proteste dei sostrari, i proprietari dei numerosi magazzini lungo il naviglio, dette sciostre, per lo stoccaggio e la vendita di legna da ardere, carbone e materiali da costruzione (sabbia, ciottoli, laterizi, legname).
Il pagamento del dazio sulle merci in entrata a Milano veniva pagato al Tombone di san Marco, perciò molti, per evadere il fisco, cercavano di scaricare i barconi prima di entrare in città.
Il traffico mercantile, nella seconda metà del Cinquecento, riguardò principalmente i laterizi prodotti a Villa Fornaci e a san’Agata per la costruzione dell’ansa orientale degli imponenti bastioni di Milano. Anche il legname da messa in opera, proveniente dai boschi dell’Adda, viaggiava di notte lungo il Martesana, a volte sciolto, arrecando danno alle barche, o legato a zattere che spesso affondavano pregiudicando la navigazione. Durante l’asciutta della prima quindicina di aprile, l’appaltatore alla manutenzione, coadiuvato da fidi capomastri, arruolava squadre di manovali e muratori per rinforzare le sponde.
I navigli erano costituivano una importante fonte di reddito per il ducato: il Magistrato delle acque riscuoteva i profitti in base alla quantità di once d’acqua erogate per l’irrigazione dei fondi agricoli. Ogni bocca di estrazione veniva controllata e regolata dal camparo, che controllava le sponde e rilevava tre volte al giorno il livello del naviglio, impedendo i furti d’acqua.
Uno dei problemi più rilevanti della gestione del naviglio era dato dal conflitto tra le esigenze della navigazione e quello legato all’utilizzo dell’acqua per muovere i mulini e le macchine idrauliche e per l’irrigazione dei campi, che diminuendo la portata d’acqua comprometteva il pescaggio dei barconi. Già nel 1496-97, appena il naviglio della Martesana fu collegato con la cerchia interna dei navigli milanesi, ci fu un lungo processo che vide contrapposti il ceto mercantile e i ricchi proprietari terrieri. Nel 1571 si avviarono finalmente i lavori per aumentare la portata del canale ma i contenziosi si protrassero ancora a lungo.
Accanto al traffico mercantile, c’era quello delle persone: i più ricchi viaggiavano su barchetti presi “a posta”, una sorta di taxi a disposizione del cliente, i meno abbienti sui barconi insieme alle mercanzie. Solo dal 1741 si organizzarono le corriere, ossia i barconi per il solo trasporto dei passeggeri, con orari e tariffe stabiliti per decreto nel 1750: un viaggio quotidiano al tramontare del sole da Vaprio a Milano.
Bibliografia: Silvia Bobbi, La navigazione sul naviglio della Martesana dal XVI al XIX secolo, in Cinquecento anni di naviglio Martesana, Nova Milanese 1998.
Enrico Giussani, 2005
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